Prima ancora di darne una definizione, posso dire che per me l’etnoclinica è diventata un modo di vedere e approcciare l’altro senza schemi preconcetti, rispettandone i suoi codici personali e culturali. Sembra una cosa ovvia, che dovremmo fare sempre, soprattutto in terapia, in realtà non abbiamo idea di quanto ognuno di noi sia culturalmente determinato e di quanto la nostra cultura occidentale ci condizioni di fronte all’altro con categorie predefinite e spesso dominanti e da “colonizzatori”.

Mi piace molto una frase di Piero Coppo che riguardo all’etnoclinica dice: “si tratta dell’arte del prendersi cura della psiche in territori e gruppi umani definiti”. Se è un’arte, significa prima di tutto avvicinarsi alla dimensione della cura con il cuore. Il significato dell’etnoclinica come specializzazione in ambito psicoterapeutico è caratterizzato dal prefisso “Etno-“ che rimanda ai concetti di “tribù”, “famiglia” ma anche ai concetti geografici di “provincia” o “territorio”. Significa tenere conto che la dimensione psichica, che rimanda al “soffio vitale“, allo “spirito” e noi traduciamo come “anima” e la dimensione culturale – etnica – sono complementari. Non si può occuparsi della salute, della malattia e della sofferenza senza tenere conto dei codici, delle interpretazioni e delle prassi che diverse culture esprimono per leggere, interpretare e intervenire su questi eventi.

L’etnoclinica è intesa, soprattutto dalle istituzioni, come disciplina e specializzazione di cura rivolta alle persone migranti, ed è così che mi ci sono avvicinata anche io, prendendomi cura di persone vulnerabili, ospiti nei C.A.S. dell’Associazione con la quale collaboro. Se da un lato è importante rivolgersi a queste persone con competenze e formazione specifica, dall’altro ho capito che l’etnoclinica ha un ruolo specifico nella costruzione di una società “meticcia” che tenga conto e faccia incontrare dimensioni di cura diverse, ugualmente dignitose e che non si escludono una con l’altra.

L’etnoclinica si è proposta come un approccio capace di accogliere tutti gli altri sistemi di interpretazione e cura di ciò che per noi sono la salute mentale e i disturbi psichici. E’ allo stesso tempo un atto di ospitalità e una scommessa di tipo scientifico. La mia formazione e il mio agire si ispirano all’etnoclinica di scuola francese di Devereux, Tobie Nathan e Marie Rose Moro, a quella italiana di Piero Coppo, della scuola Li.s.t.a di Milano e dell’associazione Metis Africa di Verona. Con loro ho trovato riferimenti teorici e pratici importanti e preziosi per relazionarmi con pazienti provenienti da altre culture e per me è stato occasione di crescita sia umana che professionale.

Le parole hanno un valore profondo. Quando sono vere, sensate e sincere, curano i cuori che piangono. Servono a sanare i conflitti e lenire sofferenze. Le parole sono sacre.   (Aminata Traoré)